Liberaimago
A.D.E. – Alcesti di Euripide
Testo e regia
Fabio Pisano
con
Francesca Borriero, Roberto Ingenito, e Raffaele Ausiello
Musiche dal vivo eseguite da
Francesco Santagata
Scene
Luigi Ferrigno
Disegno luci
Cesare Accetta
Costumi
Rosario Martone
Produzione
Associazione Primo Aiuto
Intro: perché lavorare sull’Alcesti
Sull’Alcesti, s’è detto tutto e il contrario di tutto.
Già dalla collocazione di genere: è una tragedia? Un dramma satiresco? Un dramma (poi definito in seguito, ad hoc) “prosatiresco”?
Questa indefinitezza di genere dal mio punto di vista è una risorsa, una grande risorsa, perché ciò consente di muoversi con una certa libertà all’interno del capolavoro di Euripide, sempre però
mantenendo una coerenza rispetto a quelli che sono i cardini ‘ntorno cui ruota il testo, i punti chiave, i punti luce e i punti di buio della “fabula”.
Ne ripercorro brevemente la sinossi:
Nel prologo Apollo narra di essere stato condannato da Zeus a servire come schiavo nella casa di Admeto, re di Fere, in Tessaglia, per espiare la colpa di aver ucciso i Ciclopi come vendetta
consequenziale all’uccisione del figlio Aclepio per mano di Zeus stesso. Grazie alla sua benevola accoglienza, Apollo nutriva per Admeto un grande rispetto, tanto da esser riuscito ad ottenere dalle
Moire che l’amico potesse sfuggire alla morte, a condizione che qualcuno si sacrificasse per lui.
Nessuno, tuttavia, era disposto a farlo, né gli amici, né gli anziani genitori: solo l’amata sposa Alcesti si era detta pronta.
Quando sulla scena arriva Thanatos, la Morte, Apollo tenta inutilmente di evitare la morte della donna e si allontana, lasciando la casa immersa in un silenzio angoscioso.
Con l’ingresso del coro dei cittadini di Fere si apre la tragedia vera e propria. Mentre i coreuti piangono per la sorte della regina, una serva esce dal palazzo e annuncia che Alcesti è ormai pronta a morire, anche se vinta dalla commozione per la sorte della sua famiglia. Grazie all’aiuto di Admeto e dei figli, appare direttamente sulla scena per pronunciare le sue ultime parole: saluta la luce del sole, compiange se stessa, accusa i suoceri, che egoisticamente non hanno voluto sacrificarsi, e consola il marito. Dopo essersi fatta promettere dal marito fedeltà eterna, Alcesti muore.
«Il tempo ti consolerà:
non è più niente chi muore.»
Dopo i tristi commenti del figlioletto, di Admeto e del Coro, arriva sulla scena Eracle, intento in una delle dodici fatiche, per chiedere ospitalità. Admeto lo accoglie con generosità, pur non nascondendogli la propria afflizione, tanto da essere costretto a spiegargliene il motivo.
Racconta all’eroe che è morta una donna che viveva nella casa, ma non era consanguinea, così da non metterlo a disagio, pur nascondendo in qualche modo la verità dei fatti. Prima dei funerali
sopraggiunge Ferete, padre di Admeto, per portare in dono una veste funebre: il re lo respinge stizzito, accusandolo di essere il colpevole della morte della moglie, ma si sente accusare di essere solo un codardo.
A questo punto, il Coro esce di scena, e si conclude la sezione più propriamente “tragica” dell’opera; in quella successiva il dramma si risolve positivamente. Entra in scena un servo che si lamenta del comportamento di Eracle, il quale, senza riguardo per la situazione, si è perfino ubriacato.
Anche se gli era stato ordinato di non farlo, lo schiavo decide di rivelare a Eracle la verità: la donna “non consanguinea” morta, in realtà, è la moglie di Admeto.
L’eroe, fortemente pentito, decide così di andare nell’Ade per riportarla in vita.
Dopo il terzo stasimo, contenente un elogio di Admeto e Alcesti, Eracle ritorna con una donna velata, fingendo di averla “vinta” a dei
giochi pubblici, per mettere alla prova la sua fedeltà. Admeto, inizialmente, ha quasi orrore a toccarla, convinto che sia un’altra, e acconsente a guardarla solo per compiacere il suo ospite. Tolto
il velo, si scopre che la donna è Alcesti, ora restituita all’affetto dei suoi cari.
Eracle spiega che non le è consentito parlare per tre giorni, il tempo necessario per essere “sconsacrata” agli inferi.
«Molte sono le forme del divino;
molte cose gli dei compiono contro le nostre speranze;
e quello che si aspettava non si verificò,
a quello che non ci si aspettava diede compimento il dio…»
Dal punto di vista personale, l’Alcesti di Euripide è una passione che viene da molto lontano; dalle
prime letture delle tragedie greche, e dal fascino infinito che una donna, un personaggio tanto alto e
nobile esercita, nel momento stesso in cui sceglie il sacrificio per Admeto. Ed è proprio il concetto
di sacrificio, caro a tante culture e tante religioni, che sarà approfondito, in fase di studio scenico.
Lavoro sulla drammaturgia
La traduzione e la conseguente riscrittura ha vissuto nel mezzo dei pensieri, rispettivamente, di
Aristotele e della sua “Poetika”, circa la tragedia come incidente la scena, come “quanto di più
alto esista”, e Hegel e la sua concezione del dramma in una accezione moderna e fortemente legata
alla scena. Il dramma non può vivere senza scena, la scena ha intrinseca dentro sé, il dramma.
Così ho pensato di sconvolgere il testo di Euripide, per provocarlo, asciugando ai raggi del tempo i
rapporti epici tra i protagonisti, portando all’interno della perversa scatola del dramma borghese ciò
che resta di un giorno di lutto. La riscrittura, che determina una lingua nuova la cui cornice è un
coro antico, non appartiene e forse troppo appartiene ai pensieri di un marito, una moglie, un padre,un amico, rendendo tutto un tiepido A.D.E.
Le domande che hanno mosso la riscrittura, in particolare, sono state le seguenti:
Cosa accadrebbe, se crollasse la struttura che determina la tragedia classica greca? Se Apollo fosse troppa vita/dramma, e Tanato troppa morte/tragedia? Se Alcesti prima d’essere un’eroina classica, fosse una moglie ormai stanca e affetta dal “morbo” dell’abitudine?
Se Admeto fosse un marito, un figlio, un amico “mite” e “temperato”?
Cosa accadrebbe se Eracle prima d’essere Eracle, fosse un amico pentito di un torto? Cosa accadrebbe se un padre, un nonno, un suocero fosse spietato nella sua vecchiaia? Cosa accadrebbe se, invece di un primo posto, si cercasse, per riparare, di vincere il “secondo premio in palio”?
Di quell’edificio tragico, resterebbe soltanto un dramma borghese. Che rappresenta la vita nei suoi aspetti dolorosi e in quelli lieti, concomitanti, con fine positivo.
O meno.
Fabio Pisano
Biglietti
Posto unico 12 euro | ridotto 10 euro
Prezzi al netto dei diritti di prevendita